“L’artista è un ricettacolo di emozioni che vengono da ogni luogo: dal cielo, dalla terra, da un pezzo di carta, da una forma di passaggio, da una tela di ragno”. Pablo Picasso
La creatività artistica di Angelo Pacifico inizia a prendere forma nei luoghi dell’infanzia.
Da bambino amava disegnare, e le sue prime raffigurazioni si ispiravano a dei disegni di grandi dimensioni – presenti nell’abitazione familiare – dal tratto molto sottile a inchiostro su carta, raffiguranti delle donne una dentro l’altra.
Il passaggio dai tentativi iniziali, a volte ostici ed emulativi, alla manifestazione della propria espressione artistica avviene attraverso un dipinto raffigurante un albero rosa e verde. Nel realizzare quest’opera, Angelo avverte la propria totale immersione nella pittura, lasciando spazio all’unica forma espressiva che lo emoziona: la pittura astratta.
L’interesse verso le arti è influenzato anche dalla figura del nonno, carpentiere, ma dalla predisposizione alla creatività, che si dilettava nel realizzare delle piccole sculture in ferro di donne adagiate nel palmo della mano di marinai. Trovo ci sia una forte analogia tra le due personalità, perché nonostante i percorsi scolastici intrapresi da Angelo fossero ben lontani dal mondo della creatività – come quelli lavorativi del nonno – ha continuato a nutrire e approfondire la sua passione e attrazione per l’arte.
Dopo aver conseguito il diploma da geometra, si iscrive all’Università di Siena, al corso di laurea in giurisprudenza.
Anche se è consapevole di non poter fare a meno di dipingere, la scelta di proseguire gli studi in materie non inerenti alla sua vocazione si è rivelata, con il tempo, utile per la gestione dei contratti e degli aspetti meno artistici della sua professione. Inoltre, la permanenza in Toscana gli ha permesso di indagare altre forme d’arte.
La sua prima mostra, e di conseguenza il suo primo rapporto con il pubblico, avviene proprio nel periodo universitario: in quell’occasione, come spazio espositivo viene scelta la cantina di un vecchio restauratore.
Terminati gli studi universitari, nel 2001, Angelo si trasferisce a Milano, si iscrive presso una scuola di illustrazione e a un corso di teatro di figura presso il Teatro del Buratto – Teatro Munari.
Questi percorsi formativi sono stati significativi per la sua crescita artistica: grazie a essi, Angelo abbraccia l’arte relazionale – una forma d’arte contemporanea condivisa, che prevede la partecipazione del pubblico – perché si rende conto che è il mezzo espressivo più consono alla sua indole d’artista e al suo sentire.
Per circa dieci anni, insieme a un suo collega filosofo e scultore, con l’associazione Art-Too, realizza delle opere collettive di grandi dimensioni in diversi festival d’arte.
Coltivare l’aspetto relazionale dell’arte gli ha permesso anche di poter impiegare questo strumento nel campo della formazione aziendale.
La predisposizione caratteriale di Angelo è molto affine alla filosofia dello slow living, e ciò che lo affascina molto è il recupero del ricordo, caratteristiche che un occhio attento può cogliere in tutte le sue produzioni.
Uno dei progetti che evidenziano la sua passione per il recupero del ricordo è quello delle “scatole poetiche”. L’idea di questo progetto nasce quando, in un mercatino di uno svuota solai, con l’acquisto di una marionetta gli viene offerto un pacco di fotografie, ritraenti una famiglia degli anni ‘50 in vacanza.
Angelo ha voluto dare agli scatti fotografici la giusta dignità, dimensione e voce: ha decorato ogni immagine, a ognuna di esse ha associato una poesia, una canzone, o una frase pronunciata da altri e le ha inserite in una cornice a cassetta, pronte ad approdare in una nuova dimora.
Per esprimere la propria creatività e rendere fruibile a tutti la sua arte, Angelo utilizza vari strumenti: uno di questi è trasformare i capi di abbigliamento in quadri da indossare e ammirare nelle strade, nei luoghi di lavoro e nelle occasioni speciali.
Un altro progetto, al quale sta lavorando da tempo, nasce dalla visione di un documentario dedicato allo stile di vita e di studio di ventimila monache tibetane, che vivono nel vasto altopiano della provincia cinese dello Sichuan, vicino al monastero Yarchen Garm.
Il documentario racconta la vita quotidiana di queste donne che, spinte dalla propria dedizione e dal desiderio di dedicare il proprio tempo alla pratica e allo studio dei principi del buddismo tibetano, hanno scelto uno stile di vita minimalista, vivendo in piccole case dormitorio fatte di legno e fango, senza alcun comfort.
Angelo è sempre stato affascinato dalla filosofia e dall’arte buddista, ma di questo documentario ciò che ha colpito maggiormente il suo spirito creativo è stata l’arte pittorica applicata su Thangka, oggetti simbolo della cultura e della tradizione tibetana.
Il Thangka è un’espressione visiva e spirituale: letteralmente significa “dipinto su piano” e spesso viene definito “messaggio arrotolato”. Questi Thangka vengono ricamati o dipinti con pigmenti naturali, su seta, cotone o altri materiali leggeri di varie dimensioni; sono realizzati in modo da poter essere arrotolati quando non ne è richiesta l’esposizione e per essere facilmente trasportati. Sono stendardi religiosi che ricordano arazzi dipinti.
Angelo trova che questi supporti pittorici siano più potenti e realistici rispetto alle tele, ed è per questo motivo che decide di avviare il proprio progetto degli arazzi.
Le prime opere le realizza nel giardino della casa al mare di famiglia, a Taranto, e constata che la leggerezza del tessuto gli permette di dipingere, attraverso la luce in trasparenza, gli spazi vuoti tra le ombre delle piante creando così il negativo del mondo reale.
Ciò che Angelo si auspica è di continuare a lasciarsi ispirare dalle sue emozioni e dai suoi pensieri creativi, perché questo processo poietico lo mette in contatto con la sua essenza, con colui che è e non con colui che fa, l’unico modo per stare bene con sé stesso e per connettersi con realtà a lui affini.
Lucrezia Russo
Photo credit Angelo Pacifico